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Eds: il linguaggio

Aggiornamento: 11 ago 2022

DEFINIZIONE Il linguaggio è la capacità cognitiva determinata biologicamente che più caratterizza la specie umana. Esso può genericamente essere definito come un sistema d segni, usati in modi regolari di combinazioni, secondo regole convenzionalmente stabilite, allo scopo di comunicare. Le sue funzioni sono due: Comunicativa: l’individuo ha la possibilità di favorire la trasmissione di informazioni e l’interazione sociale; Conoscitiva: il linguaggio permette di descrivere gli eventi attraverso i concetti che offrono l’occasione di acquisire una serie di conoscenze senza che vi sia stata un’esperienza diretta da parte del soggetto.

SINTESI TEORIE Nel corso degli anni sono state proposte molte teorie, le quali investigavano principalmente l’origine e la natura del linguaggio. Due teorie che possono essere considerate diametralmente opposte sono quelle proposte da Skinner e Chomsky. In particolare Skinner, comportamentista riteneva che alla nascita il bambino fosse una “tabula rasa” e che imparasse la propria lingua seguendo i medesimi meccanismi utilizzati per qualsiasi altra forma di apprendimento e quindi imitazione, rinforzo e modellamento. Secondo l’ipotesi comportamentista di Skinner, la lingua verrebbe appresa, dapprima per associazione di un suono all’oggetto che lo rappresenta, poi per condizionamento operante, dal momento che i genitori rinforzano le competenze linguistiche del bambino approvando e procurando ciò che egli richiede tramite le parole. Al contrario, Chomsky, innatista, sosteneva che l’apprendimento del linguaggio seguisse meccanismi specifici, propri e innati. L’autore sostiene, infatti, l’esistenza innata di un dispositivo di acquisizione del linguaggio, il LAD (Language Acquisition Device), che non è un organo specifico ma rappresenta una predisposizione a comprendere e produrre proposizioni. Per l’autore, quindi, il linguaggio si basa su meccanismi ad esso specifici (cioè predisposti soltanto all’analisi delle frasi), innati, e propri solo dell’uomo. Per cui, secondo l’autore, ci sono aspetti che condividono tutte le lingue, come oggetto, soggetto e verbo, che sono innati e diventano attivi quando maturano i circuiti cerebrali ad essi corrispondenti. I bambini non hanno, dunque, bisogno di impararli. Ci sono poi degli aspetti variabili, chiamati parametri. Ogni parametro ha già un insieme prefissato di valori ed il bambino deve scoprire quale si applica alla lingua che sta imparando. Per questo, è necessaria l’esperienza. Questo processo prende il nome di fissazione di parametri ed è diverso dall’apprendimento associativo, poiché i valori che i parametri possono assumere sono già prefissati.

Vygotskij invece oltrepassò queste concezioni e la teoria da lui proposta può essere considerata costruttivista, in quanto a differenza della prospettiva innatista proposta da Chomsky, lo studioso si interroga sulla questione dello sviluppo del linguaggio investigando se tale sviluppo derivi dalla ricombinazione delle strutture che sottendono altre abilità cognitive, percettive o sociali. La componente linguistica quindi non si attiva ne seguendo programmi geneticamente determinati ne attraverso rinforzi positivi o negativi. Alla base di ogni atto cognitivo, entra in gioco secondo V. l’interazione sociale affermando che il linguaggio si sviluppi attraverso l’interiorizzazione dei principi della società di appartenenza. L’adulto supporta il bambino nell’acquisizione di tale strumento come mezzo di comunicazione e lo fa agendo su quella che viene definita “zona di sviluppo prossimale”: basandosi su quelle che sono le conoscenze già acquisite, l’adulto fornisce al bambino gli strumenti utili per procedere negli apprendimenti successivi. L’adulto esperto inoltre, attraverso lo scaffolding supporta il bambino nel processo di apprendimento, fino a quando non saprà agire autonomamente. L’aiuto dell’adulto viene gradualmente ritirato nel momento in cui il bambino è in grado di utilizzare il linguaggio da solo, quindi in maniera intrapsichica interiorizzandolo. Vygotskij suggerì che fino ai due anni linguaggio e pensiero sono indipendenti, poi cominciano a fondersi. A tre anni il linguaggio interpersonale si scinde in un linguaggio comunicativo verso gli altri ed in un linguaggio egocentrico, cioè il bambino parla da solo ad alta voce con se stesso per portare avanti i suoi pensieri, risolvere un problema e pianificare le azioni. All’età di sette/otto anni, il linguaggio diventa interiore: il linguaggio viene pronunciato mentalmente e supporta le attività psichiche come la memoria, l’attenzione, l’apprendimento. Diventa, quindi, pensiero vero e proprio. Lo studioso infatti sostiene che il linguaggio dia la spinta alla funzione cognitiva e che aiuti il bambino ad organizzare la propria conoscenza del mondo in categorie distinte e a prendere decisioni sul proprio comportamento Per dimostrare tutto questo, Levina, collaboratore di Vygotskij, propose un esperimento, in cui bambino di 4/5 anni dovevano raggiungere un dolce, ma non potevano arrivarci direttamente. Si osservò che i bambini usavano il linguaggio per elaborare le possibili soluzioni. Se veniva proibito loro di non parlare, la loro azione si inibiva, poiché non potevano usufruire del linguaggio per pianificare l’azione. Oppure ripiegavano sul linguaggio sociale, chiedendo aiuto allo sperimentatore. Se anche in questo caso non ricevevano aiuto, allora interiorizzavano il linguaggio e diventando assorti come se stessero parlando con loro stessi su come poter risolvere il problema. Per Vygotskij, questo esperimento fu la prova che il linguaggio ha una funzione meta riflessiva. Pregi e critiche: merito di tale prospettiva socio-costruttivista è rappresentato dall’aver sottolineato l’importanza del contesto sociale nello sviluppo e nell’apprendimento, da troppa importanza alle interazioni sociali senza tener conto che nello stesso ambiente ognuno sviluppa in tempi e modi diversi le proprie capacità linguistiche. Per cui, mentre per Piaget il linguaggio è una competenza che si sviluppa interiormente che solo in seguito viene socializzata, per Vygotskij , invece, è esattamente il contrario. Inoltre, Piaget, prevede che nel linguaggio del bambino non vi sia alcuna esigenza comunicativa. Vygotskij ritiene, invece, che la funzione originaria del linguaggio, sia nei bambini sia negli adulti, è la comunicazione, quindi il linguaggio del bambino sarebbe già essenzialmente sociale.

ULTERIORE TEORIA Alla teoria di Vygotskijsi contrappone in maniera speculare la prospettiva piagetiana; Piaget si è occupato dello studio dello sviluppo cognitivo e considera quest’ultimo come requisito fondamentale per lo sviluppo di tutte le altre abilità e competenze nel bambino. Lo studioso sostiene che il linguaggio non è un sistema autonomo, ma che esso derivi direttamente dallo sviluppo cognitivo: prerequisito essenziale per lo sviluppo del linguaggio è secondo l’autore lo sviluppo delle abilità di rappresentazione, che si manifestano successivamente anche attraverso lo sviluppo della funzione simbolica e dell’imitazione differita. Il linguaggio dunque non presenta una funzione propria, bensì è manifestazione dello sviluppo del pensiero e delle abilità di rappresentazione. Piaget inoltre sostiene che all’incirca fino ai 6 anni il bambino si trovi nella fase del pensiero egocentrico, caratterizzato dall’incapacità di assumere la prospettiva altrui. Anche il linguaggio egocentrico dunque viene considerato manifestazione di tale livello di sviluppo: secondo Piaget esso non svolge nessuna funzione importante per lo sviluppo e viene messo in atto soltanto per la propria soddisfazione; con lo sviluppo delle strutture di pensiero gradualmente diminuisce anche l’uso del linguaggio egocentrico, per lasciare maggiore spazio all’uso del linguaggio interiore, manifestazione di una maggiore competenza cognitiva. Lo strumento che utilizza Piaget per arrivare alla formulazione di tali teorie è il colloquio clinico con i più piccoli, i quali vengono posti di fronte a richieste e problemi.

STRUMENTI Per quanto riguarda gli strumenti finalizzati alla valutazione del linguaggio in età evolutiva è possibile utilizzare questionari da somministrare ai genitori dal momento che, fino ai 3 anni di età circa, risulterebbe difficile valutare dettagliatamente le competenze linguistiche solo e direttamente sul bambino. Un esempio è il Primo Vocabolario del Bambino, finalizzato ad indagare lo sviluppo comunicativo e linguistico del bambino prima in termini di comprensione e produzione di gesti ed azioni e successivamente di parole e frasi. Strumenti per valutare globalmente le competenze linguistiche in produzione e comprensione in bambini fino ai 42 mesi possono essere le scale di linguaggio recettivo ed espressivo contenute nelle scale di Sviluppo Bayley-III. In età prescolare, quando diviene possibile valutare direttamente il bambino, si possono utilizzare strumenti quali: il Test di Valutazione del Linguaggio (TVL), test che valuta lo sviluppo del linguaggio nelle sue diverse componenti, sulla base delle quali può essere ricostruito un profilo delle capacità funzionali. In età scolare è poi possibile utilizzare il Test di Comprensione Grammaticale per Bambini (TCGB), utile a valutare la comprensione dei principali aspetti della grammatica in bambini con sviluppo tipico e atipico. Oltre alle capacità strettamente grammaticali e semantiche, è possibile considerare anche un test che valuta la componente referenziale del linguaggio PCR, cioè la capacità del soggetto di comunicare attraverso messaggi altamente informativi, di adottare strategie utili a comprendere messaggi ambigui. Lo strumento utile sia ad insegnanti che a psicologi permette di valutare il bambino in età scolare sia come parlante che come ascoltatore. In età adulta, è possibile adottare il Boston Naming Test, per la valutazione della produzione lessicale.

AMBITI APPLICATIVI Nell’ambito della psicologia evolutiva, che studia le connessioni tra sviluppo linguistico, cognitivo, emotivo e sociale, gli studi sul linguaggio hanno favorito la comprensione di disturbi che insorgono, solitamente, durante l’infanzia e l’adolescenza, come la balbuzie o il mutismo selettivo, e il disturbo specifico di linguaggio (DSL) diagnosticabile dai 3 anni. Tra gli altri ambiti applicativi assume un’importanza particolare l’ambito neuropsicologico, ed in esso in particolare lo studio delle afasie. Tra queste, definite come un disturbo di comunicazione verbale che consegue ad una lesione focale del cervello, possiamo ricordare le più conosciute, ovvero l’afasia di Broca, conseguente ad una lesione del piede della terza circonvoluzione frontale, caratterizzata dalla quasi totale assenza della produzione linguistica (è di tipo non fluente) e da una comprensione conservata; e l’afasia di Wernicke, conseguente a lesione della prima circonvoluzione temporale, con eloquio fluente caratterizzato da errori quali parafasie fonemiche e neologismi, ed una comprensione del linguaggio assente. In ambito clinico e terapeutico il linguaggio svolge un ruolo primario. L’utilizzazione della comunicazione verbale (e non) del paziente per indagare le problematiche psichiche è alla base dell’attività clinica e terapeutica. La parola è mezzo conoscitivo e strumento terapeutico. Il colloquio, che consiste in ultima analisi in un’interazione verbale tra due individui, rappresenta uno degli strumenti diagnostici e terapeutici elettivi.

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