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Eds: il bullismo

Aggiornamento: 11 ago 2022

DEFINIZIONE I bambini in età scolare (6-11 anni) strutturano la loro l’identità attraverso il gruppo dei pari. Interagire con altri bambini stimola le abilità sociali, offre al bambino la possibilità di sperimentarsi in ruoli diversi da quelli di figlio e di iniziare a definire una personalità autonoma, acquisendo anche uno “status”, cioè una posizione all’interno del gruppo che lo fa riconoscere e apprezzare per le sue caratteristiche, i suoi interessi e le sue competenze. Infatti, nel rapporto con i pari, il bambino non è accettato aprioristicamente come in famiglia, ma deve conquistare le simpatie degli altri, condividere e collaborare, oltre a modulare la sua impulsività, negoziare e rispettare regole condivise. Alcuni bambini cercano di affermare se stessi in modo coercitivo, prevaricando ripetutamente e intenzionalmente i coetanei. Questa modalità di interazione sta aumentando sia nelle scuole primarie italiane che all’estero. Tale fenomeno particolarmente presente in età evolutiva è stato definito con il termine bullismo, adattamento dall’inglese bullying. Con il termine “bullismo” si definiscono quei comportamenti offensivi e/o aggressivi che un singolo o più persone mettono in atto ripetutamente nel corso del tempo ai danni di una o più persone con lo scopo di esercitare un potere o un dominio sulla vittima. La differenza tra le normali dispute tra bambini e gli atti di bullismo consiste nella predeterminazione e nell’intenzionalità, nella ripetitività nel tempo e nella soddisfazione degli autori di tali abusi.

TEORIA APPROFONDITA Lo studioso più importante del bullismo è stato lo psicologo norvegese Olweus, che ha compiuto ricerche sulla diffusione del fenomeno, ha ideato un questionario anonimo sulle prepotenza subite e agite a scuola e ha predisposto una serie di interventi per contrastarlo. Secondo l’autore, le tre caratteristiche che distinguono il bullismo sono: l’intenzionalità, che implica la volontà deliberata di recare offesa; la sistematicità, che pone l’accento sulle azioni offensive commesse ripetutamente e frequentemente (sebbene anche un singolo episodio di grave molestia possa essere considerato una forma di bullismo, si tende a studiare il fenomeno soprattutto quando presenta continuità nel tempo); l’asimmetria nella relazione, che indica la presenza di differenze fisiche o psicologiche tra bullo e vittima, tali da definire due ruoli, quello del prepotente che sottomette e della vittima che subisce (ci sono casi in cui non c’è una sola vittima), spesso senza denunciare, per paura di ritorsioni del bullo: lo studente esposto ad azioni offensive ha difficoltà a difendersi e si trova in qualche modo in una situazione di impotenza contro colui o coloro che lo molestano. L’autore distingue due forme di bullismo: diretto, che si manifesta con attacchi relativamente aperti nei confronti della vittime, fisici e/o verbali; indiretto, che consiste in una forma di isolamento sociale e in un’intenzionale esclusione dal gruppo. Dunque non è necessaria la violenza fisica perchè si parli di bullismo: anche il pettegolezzo, le calunnie, le coalizioni tese a svalutare la vittima sono forme con cui si perpetuano atti di bullismo.

Nel libro “Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono” (1993), egli presenta i risultati di uno studio condotto a Bergen, che mostra che circa il 35-40% degli studenti vittime è stata oggetto di bullismo da parte di un singolo studente. Nella maggior parte dei casi, però, sembra che la vittima sia molestata da gruppi di 2-3 studenti. I risultati dello studio indicano una maggiore esposizione delle femmine alle forme di bullismo indiretto rispetto a quelle di bullismo diretto, anche se le percentuali relative alle ragazze isolate ed escluse non si differenziano in modo significativo dalle corrispondenti percentuali relative ai maschi. Questi ultimi, tuttavia, sembrano anche più esposti alle forme di bullismo diretto. C’è inoltre una connessione forte tra l’essere vittima di bullismo diretto e l’essere vittima di bullismo indiretto. Inoltre, più del 60% delle femmine prevaricate riferisce di essere stato vittimizzato principalmente dai maschi; il 15-20% da maschi e femmine; la maggior parte dei maschi, invece, ha riportato di essere stata vittimizzata principalmente dai maschi.

Un dato importante riguarda l’età dei ragazzi coinvolti nel fenomeno: sembra che già dalle elementari i bambini siano vittime di bullismo, soprattutto da parte di bambini più grandi. Studi condotti in Svezia mostrano che gli studenti prevaricati per un certo periodo di tempo tendono ad esserlo per diversi anni. Allo stesso modo, gli studenti che risultano essere aggressivi con i loro compagni in un periodo, tendono ad esserlo anche successivamente.

A partire da questi e da altri dati, Olweus afferma che il comportamento aggressivo pare essere una caratteristica individuale piuttosto stabile; questo tuttavia non significa che non possano esserci misure efficaci per contrastare il fenomeno nei contesti in cui si verifica.

Analizzando le caratteristiche delle vittime, l’autore sostiene che sono solitamente più insicure e ansiose degli studenti in generale, sono spesso caute, sensibili e calme. Reagiscono agli attacchi piangendo oppure si chiudono in se stesse. Soffrono di scarsa autostima, si sentono fallite, stupide, timide, poco attraenti. Vivono a scuola una situazione di solitudine e abbandono, non sono aggressivi o molesti, perciò il bullismo non è riconducibile a provocazioni da parte delle vittime. Anzi queste ultime hanno spesso un atteggiamento negativo verso la violenza. Se sono maschi, sono spesso più deboli della media. Le suddette caratteristiche definiscono un tipo di vittima passiva o sottomessa, in contrasto con il tipo meno comune della vittima provocatrice. Le vittime passive, inoltre, come appurato dalle interviste con i genitori, sembra che sin dai primi anni dell’infanzia manifestino un atteggiamento prudente e un’accentuata sensibilità. Tali caratteristiche potrebbero portarli ad avere difficoltà ad affermarsi nel gruppo di coetanei e probabilmente contribuiscono a renderli vittime di bullismo; a sua volta, l’attacco protratto da parte dei coetanei consolida l’ansia, l’insicurezza e la valutazione negativa di sé. Sembra inoltre che le vittime abbiano avuto nella prima infanzia rapporti più intimi e positivi con i genitori rispetto alla media, soprattutto con la madre.

Il bullo è generalmente un bambino aggressivo, sia verso i coetanei che verso gli adulti, che ha un atteggiamento favorevole alla violenza. Di solito è impulsivo, ha un forte bisogno di dominare, è insofferente alle regole, scarsamente empatico e poco sensibile verso la sofferenza delle vittime, che sminuisce colpevolizzandole o deumanizzandole.  Ci può essere una componente strumentale, in quanto il bullo spesso sfrutta la vittima per ottenere favori e vantaggi. In molte situazioni il comportamento aggressivo è ricompensato con accresciuto prestigio (Bandura, 1973). Il bullismo può essere visto come aspetto di un più generale comportamento antisociale. Alcuni studi sembrano confermare che i giovani aggressivi e prevaricatori incorrano più facilmente nel rischio di essere coinvolti in altri comportamenti problematici, quali la criminalità o l’abuso di sostanze, in età più avanzata. Spesso i bulli provengono da condizioni familiari inadeguate che hanno portato a sviluppare ostilità verso l’ambiente. L’atteggiamento negativo dei genitori nei primi anni di età (in particolare della madre) risulta tra i fattori che concorrono a favorire lo sviluppo di tale modello. Un atteggiamento caratterizzato da mancanza di calore e coinvolgimento aumenta il rischio che il ragazzo diventi ostile e aggressivo verso gli altri. Inoltre uno stile educativo permissivo e tollerante, che non pone chiari limiti al comportamento aggressivo del bambino, o l’uso coercitivo del potere da parte dei genitori, in forma di punizioni fisiche e violente esplosioni emotive, possono concorrere allo sviluppo di condotte aggressive. Infine c’è il ruolo giocato dal temperamento del bambino, anche se risulta un fattore meno importante di quelli precedenti. Naturalmente nelle diverse situazioni questi fattori possono giocare ruoli più o meno importanti e ci possono essere altre cause che attivano tali comportamenti problematici. Sembra, tuttavia, che la maggior parte delle condotte inadeguate, tra cui il bullismo, tendano a manifestarsi quando i genitori non sono a conoscenza di ciò che fanno i figli, o quando vi è l’assenza di una figura adulta. Anche la conflittualità tra i genitori, quando si verifica di fronte ai bambini, soprattutto se questi sono coinvolti come alleati dall’una o dall’altra parte, può provocare esiti negativi.

Il bullismo non riguarda solo il bullo e la vittima, ma può coinvolgere un intero gruppo di pari, ciascuno con un suo ruolo.  Vi sono i sostenitori, che sono seguaci del bullo, lo incitano e lo approvano, senza però prendere parte alle azioni violente. Osservando e incitando, rinforzano il comportamento violento, legittimandolo. I bambini che assumono questo ruolo sono definiti anche “bulli passivi”, sono spesso insicuri e ansiosi e si sentono protetti dalla potenza del bullo. Infine vi sono i sostenitori della vittima, che danno il loro appoggio, e i soggetti neutrali, che sanno ma non riferiscono nulla agli adulti, cercano di rimanere estranei, per timore o indifferenza, ma con la loro omertà avvalorano le prepotenze. Sia bulli che vittime presentano spesso difficoltà nel riconoscimento delle emozioni: il bullo non sa immedesimarsi nella vittima, ne disconosce i segnali di sofferenza, non è consapevole delle sue e delle altrui emozioni perché non sa leggerne i segnali sul volto o nel comportamento. La vittima a sua volta non sa riconoscere le espressioni di rabbia del bullo, dunque non sa intuire che possa trasformarsi in aggressore e talvolta finisce anche inavvertitamente per provocarlo. Gli atti di bullismo non sono da liquidare come semplici “ragazzate”, ma possono diventare pericolosi, soprattutto in considerazione degli esiti nei termini di psicopatologia e criminalità. È opportuno quindi agire con la prevenzione, con un incremento della conoscenza del fenomeno nella scuola, con la promozione di abilità sociali tra i bambini.

ULTERIORE TEORIA Secondo Andolfi, nel fenomeno del bullismo il debole non è solo la vittima, ma anche il bullo, con la sua estrema fragilità interiore che viene trasformata in aggressività. I cambiamenti culturali dell’ultimo secolo hanno portato ad una trasformazione dei ruoli genitoriali e, soprattutto quello del padre, che non ha trovato una ridefinizione. Il padre, prima al vertice della gerarchia familiare, oggi spesso si sente inadeguato rispetto alla donna in famiglia. Si è creato un vuoto di identità affettiva e di guida che fa sì che spesso alcuni uomini, per non sentire la profonda solitudine e mantenere un rapporto con i figli, acquisiscano una pseudoidentità di padre colorata di materno o semplicemente incarnano la solitudine in una reale assenza, piuttosto che assumere un ruolo che sentono come non autentico. Il padre, soprattutto per i figli maschi, è un’importante fonte di rassicurazione e la sua assenza amplifica l’insicurezza e la paura, che si tramutano in violenza. La natura del rapporto madre-figlio è fusionale. Se questo rapporto non si modifica nel tempo, già con l’infanzia, ma ancor più nell’adolescenza, i rischi per il figlio sono notevoli. In questo senso la funzione paterna avrebbe una valenza protettiva nei confronti del bambino, ponendosi come elemento di separazione tra madre e figlio. Al posto del padre assente, ai nostri giorni sembra così essersi insediata la cultura del branco, che, attraverso il comportamento violento, esprime valori virili. Il gruppo tende ad esasperare la negazione del bisogno e della dipendenza infantile e promuove comportamenti caratterizzati dall’iperinvestimento del coraggio e dell’autonomia e da un bisogno esasperato di farsi conoscere e rispettare.

Ai nostri giorni, la tecnologia offre mezzi tramite i quali poter perpetuare persecuzioni da parte dei bulli. Il cyber-bullismo si caratterizza per due aspetti: in primo luogo, il bullo non è una presenza fisica e ciò garantisce l’anonimato; il secondo aspetto è che la vittima non può essere sicura nemmeno a casa. Il bullo elettronico riesce a entrare anche in una zona così intima della vittima, la quale svilupperà ancora più insicurezza e fragilità. Il cyber-bullo, invece, diventa ancora più sicuro: l’anonimato permette di sentirsi meno responsabili delle azioni commesse. Anche coloro che di persona non avrebbero il coraggio di mettere in atto comportamenti aggressivi, alla cui base c’è spesso una personalità piuttosto fragile, possono diventare bulli.  Sovente alle spalle di un bullo, quello che manca è un nucleo familiare in grado di dialogare, perchè disgregato, o comunque situazioni sociali e familiari complesse. Tutto ciò comporta instabilità emotiva e una perdita totale di punti di riferimento, fondamentali per un giovane in crescita.

La ricerca in Italia – Ada Fonzi. In Italia la cattedra di Psicologia dello Sviluppo di Firenze ha curato una ricerca sul bullismo, con l’obiettivo di capire se nelle scuole italiane esistesse il fenomeno e in che misura: ne è emerso un quadro preoccupante che la stampa ha dipinto come allarmante. Le tipologie di bullismo che emergono sono: l’uso di parolacce, la violenza fisica, le minacce, l’esclusione, la diffusione di dicerie calunniose; la sottrazione di oggetti. I risultati mostrano che, con l’aumentare dell’età gli atteggiamenti dei bulli vengono criticati sempre di più, le femmine in modo particolare sono le più critiche, e aumentano gli atteggiamenti di protezione verso i compagni più deboli.

STRUMENTI Per effettuare uno screening e rilevare la presenza di bullismo in una scuola si utilizzano generalmente il questionario “la mia vita a scuola”, di Sharp e Smith, che rileva le prepotenze subìte.

Un altro strumento per la valutazione del fenomeno è il questionario di Olweus per rilevare numero e tipologie di violenze agite e subite, relazioni con i pari e gli insegnanti, consapevolezza del problema.

AMBITI APPLICATIVI I progetti di prevenzione e intervento sul bullismo sono oggetto di applicazione soprattutto della psicologia scolastica, dell’età evolutiva, dell’educazione, anche se la riduzione di questo fenomeno interessa anche la psicologia di comunità, date le implicazioni sociali di tali violenze. Il metodo più utilizzato per prevenire o intervenire sul bullismo integra educazione socio-affettiva e peer-education. L’educazione socio-affettiva è un metodo educativo di sviluppo della conoscenza di sé e delle proprie emozioni e di miglioramento delle relazioni di gruppo, sviluppando abilità di comunicazione, negoziazione, tolleranza, cooperazione, che sono fondamentali in ambito educativo, affettivo, sociale, lavorativo. La peer-education è un metodo di apprendimento e insegnamento che vede protagonisti i bambini o gli adolescenti, divisi in piccoli gruppi, all’interno dei quali ciascuno assume un ruolo ed ha la responsabilità di trasmettere un contenuto agli altri. In questo modo si attiva uno scambio reciproco, gli studenti diventano attivi, imparano non soltanto a recepire passivamente i contenuti, ma anche a gestire in modo autonomo l’apprendimento, collaborando e mettendo in comune esperienze, conoscenze, emozioni.

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